Quel genius loci che non c’è più: le casette del villaggio di San Domino descritte dal viaggiatore come “ un mazzolino di rose”.

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di Maria Teresa De Nittis

Il complesso del villaggio rurale, di San Domino, menzionato più volte negli articoli della Rivista, Tremiti Genius Loci, fu costruito nel 1935,due anni dopo la nascita del Comune di Tremiti, e composto originariamente da 12 casette tutte uguali, intonacate di rosso carnicino (o rosso cinabro), per incrementare l’attività agricola richiamando una buona parte della popolazione concentrata nell’isola di S.Nicola.

 Le casette, erano disposte fra campi e vigneti a ridosso della pineta a 61 m. sul livello del mare ai due lati di una strada pianeggiante, lunga 350 m., limitata a sud dal comprensorio ex cantina sperimentale della colonia penale a nord da una piazzetta con un grande fabbricato da cui si accedeva alle camere e alla terrazza, tramite due scalinate esterne. Inizialmente, l’edificio, doveva servire come palazzo comunale. Le casette erano composte da un pianterreno coperto da tettoia, da un deposito centrale per gli attrezzi agricoli e dalle soffitte che potevano ospitare ben due famiglie di coloni. Nel  “palazzo” invece, erano alloggiate le famiglie senza tetto, oltre la scuola elementare e la cappella dove nei giorni festivi il parroco celebrava la S. Messa. il villaggio a nord  si distingue per un’elegante palazzina a due piani, occupata un tempo dalla direzione della colonia del fascio. La palazzina si affaccia su “Cala Matano” e dal Belvedere si può godere la vista di S. Nicola, arrivo e partenza delle navi e il fascino notturno del cielo stellato sull’arcipelago. Dopo l’insediamento dei coloni nel villaggio agricolo esisteva una sola bottega per l’acquisto di generi di prima necessità, vino, pasta, alimentari e coloniali; pane e sigarette bisognava acquistarli ancora a S. Nicola. Dal villaggio rurale, costituitosi per volontà del Duce, si dipartivano e si dipartono a tutt’oggi, tre arterie stradali che, attraverso la pineta si ricongiungono al faro. La strada centrale detta della Pineta raggiunge la quota più alta a m. 116, dove sorge la Cappella del Romito, per ridiscendere dalla parte opposta fino al faro. Le altre due si svolgono lateralmente alla strada centrale, lungo le coste dell’isola: l’una a ponente, passa superiormente alla cala degli Inglesi, alla cala dei Benedettini, alla grotta delle Rondinelle, alla punta Secca, all’Appicco, alla grotta del Bue Marino, alla Ripa dei Falconi e arriva fino al faro; l’altra a levante(denominata un tempo Strada Comunale della Cantina Sperimentale) passa per la grotta del Sale e la grotta delle Viole, e dopo aver doppiata la Punta di Ponente e la grotta delle Murene si ricongiunge alla Strada del Faro, formando un’ellisse di tre chilometri circa. Lo storico Francesco Delli Muti, nel suo libro “Le Isole Tremiti” racconta che un’artista paragonò l’ellisse all’orlo di un cestino, il cui manico era la strada centrale della pineta, mentre il contenuto, la parte più alta della pineta, con un mazzolino di rose rosse, le casette cioè del villaggio rurale. Negli anni ’50 S. Domino a giudicare dai molti edifici abbandonati appariva come una terra di emigranti, ma in realtà non lo era, i “cameroni” facevano parte del complesso della colonia penale che gli isolani davano in affitto per poco ai forestieri. Alle innumerevoli richieste di soggiorno alle Tremiti del nascente turismo, un contributo significativo si deve alle 12 famiglie del villaggio rurale, nonostante i limiti della ricettività, si adoperarono a garantire un servizio di camere con pensione completa di vitto ed alloggio ai turisti.

Quel genius loci che non c’è più.

Le nuove esigenze di sviluppo economico e sociale ottimizzano le strutture esistenti ma altresì resettano quella cultura che concepiva il territorio come un bene comune e ne stravolgono l’identità e la storia. Il villaggio agricolo per la sua eccezionale importanza storica doveva essere tutelato in modo rigoroso, ma il suo genius loci non sopravvisse, alle modifiche dovute all’aumento caotico delle attività commerciali connesse al turismo che cancellarono tutto ciò che costituiva l’unico centro sociale e culturale dell’isola di San Domino.

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Galleria fotografica:

1-2-3-4 –  Le casette del villaggio rurale negli anni ’50, evocano con delicatezza poetica la storia degli antenati e delle famiglie tremitesi di pescatori e agricoltori. Le casette coloniche furono consegnate nel settembre del 1940 dal Ministero dei lavori pubblici al direttore della Colonia di Confino, il Commissario Coviello. Il villaggio rimase abbandonato fin dopo la seconda guerra mondiale, quando nel 1946, con l’abolizione della colonia di confino, una parte della popolazione di S. Nicola, occupò le casette dietro concessione del Comune che le assegnò a 28 capi famiglia.

5- La casa della famiglia Sciusco-Greco, anni ’70.

6- Veduta aerea di San Domino con la nuova strada panoramica, 2020.

7-8- villaggio di San Domino allo stato attuale con le nuove costruzioni. Nonostante gli insediamenti turistici, sorti numerosi, nell’ultimo decennio, e l’afflusso in estate di decine di migliaia di vacanzieri e pendolari, resistono ancora le  pinete e distese di macchia mediterranea che fanno dell’isola di S, Domino il giardino e perla del Gargano.

9-10-11- Il complesso del ex discoteca Diomede e l’Hotel Gabbiano, prima e dopo la pavimentazione con la pietra bianca di Apricena, 2022.

12- Una rara foto a colori, fine anni ‘60 vista a volo d’uccello, versante N. –  N.W. dell’isola di San Domino, esposto ai venti di Tramontana che si presenta a punta del Diamante rettilineo a  falaise:  costa alta e dirupata a picco sul mare, coronata di scogli a pani di zucchero. La zona appare incontaminata e libera dalle attuali costruzioni e recinzioni. E’ visibile la casa colonica assegnata nel dopoguerra con i terreni agricoli al fu Sciusco Giuliano a ridosso delle Cale di Tamariello e Tramontana. Il sentiero soprastante alla pineta, porta al gruppo di cameroni ovvero i fabbricati della ex Colonia coatta istituita da Ferdinando IV il 13 giugno 1792 che ospitavano i deportati nei periodi borbonico e fascista.